Tevere

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 Non esiste morte che non sia violenta. Non esiste morte che non sia morte. Non si può non morire. Ogni nostro passo, movimento è verso il morire, lo smettere delle cose, il ritorno al nero totale potente, al nero di Caravaggio.
Ecco se ci guardi da fuori, noi messi qui intorno a questo corpo sfatto d’acqua, il cielo nero e il tramonto che arriva, ti pare di vedere La morte della vergine.
La madre di dio, secondo la tradizione, non muore, ma cade in sonno profondo e, addormentata, una schiera d’angeli la porta in cielo. Assunta senza la consunzione della morte.
Eppure moriamo tutti, già dall’utero di nostra madre moriamo, già prima di nascere sembra dire Caravaggio con le sue pennellate, noi andiamo verso il buio. Tutti vanno verso il buio, buio e nero nero e buio, luce che disarma nella notte, e la vergine per Caravaggio che deve morire.
Così il Tevere sputa dalle sue acque una donna, giovane e morta.
Annegata nel fiume, il corpo gonfio d’acqua non nega la sua bellezza, una bellezza da cortigiana. La madonna è una prostituta, la madonna è una donna che ha patito la morte.
Muore di una morte oscena, rabbiosa, che non ha niente di santo. Nessuna dormitio, nessuna schiera d’angeli. Il nero come sfondo, il rosso fiotto del sangue, gli apostoli intorno, non come Chiesa intorno alla madre di dio, ma come un gruppo di curiosi che guardano il corpo di una donna morta, appena tirata su dal fiume.

La seconda persona

Demetrio Paolin

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