Dove sono finite le femen?

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L’uomo è definito come essere umano e la donna come femmina; ogni volta che si comporta da essere umano si dice che imiti il maschio

Secondo Sesso- Simone De Beauvoir

Novatanovemila donne hanno perso il lavoro nello scorso dicembre. Novantanovemila su 101mila totali. N o v a n t a n o v e m i l a su 101mila. In un anno sono 312 mila. Mi piace scriverlo a lettere forse anche perché sono emozionata a riprendermi questo spazio di scrittura, dopo un anno circa di questa epidemia pandemica, perché da quando sono in cassa integrazione mia mamma e mia figlia sono diventate la mia priorità,di scrivere e pensare ho poca voglia e tempo, e inoltre a mia figlia è toccato il pc, nelle ore diurne, perché l’altro è rotto e figuriamoci se questo è un periodo buono per spendere soldi per un tecnico a domicilio (l’apple è gigantesco e io non ho nemmeno la macchina).

Comunque dicevamo: un’ecatombe. Non posso fare a meno di seguire quasi quotidianamente le notizie di cronaca sui femminicidi (termine che detesto) e chiedermi ma come fate a non collegare la morte di tutte queste donne alla loro sempre più precaria autonomia esistenziale? Con il loro effettivo deprezzamento sociale e lavorativo? Boh. E da qualche giorno, anzi qualche mese, inizio a farmi altre domande: quante sono in percentuale i le donne lavoratrici in cassa integrazione? Quante ne saranno, quante saremo, anzi, a essere reintegrate e non sacrificate all’imperativo del salviamo il reddito familare mantenendo attivi i posti di lavoro degli uomini con famiglia, che le donne sono problematiche e meno efficienti degli uomini?

Stamattina ho tagliato i capelli a mia madre, le ho fatto la piega. Mi ha fatto impressione toccarle i capelli, sono diventati fragili e sono pochi. Certe emozioni sono, come questa, sono quasi indicibili. E’ la seconda volta che mi capita in pochi giorni di sentirmi così a disagio, l’altro giorno le avevo fatto il pedicure, massaggiata, mentre la guardavo seduta come fosse una bambola. La stessa donna che, con fortune alterne, si è occupata di me per tutta la vita. Cosa abbia procurato a me questo ultimo anno è nelle confidenze che ho appena condiviso con voi, e credo sia qualcosa che riguarda tante altre ragazze: intellettualmente, se mi guardo mentre vivo, la definirei una regressione storica al principio della cura, le donne sopravvivono, non scompaiono, nella misura in cui si prendono cura delle persone della loro famiglia. Ed è un prendersi cura che diventa ascolto, lavoro, disponibilità a sviluppare capacità pratiche.

Se non ora quando. Ma dove sono finiti i movimenti femministi? Perché non vedo quelle amazzoni bellissime scalpitare e spogliarsi per denunciare questa situazione di scacco storico? Il corpo delle donne, ci siamo fermate qui, mentre il Covid spazzava via la nostra autonomia? Cosa ci aspetta, domani, quando tutto questo finirà. Ci ritroveremo a cantare mentre laviamo i panni nell’acqua fredda?

“Il piacere di una donna sta a quello dell’uomo come un poema epico sta a un epigramma”

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Va che lo so che dovrei usare almeno una citazione da “Bianco”  per essere credibile come blogger, ma anche sticazzi, Krauss va sempre bene, mi calza benissimo in questo periodo, perché vorrei tanto sapere perché sono ancora prigioniera di un desiderio che non riesco a vivere come si conviene alla mia natura epica. Ci sono amori che sono spendide evanescenze e quintali di stizzosa repulsione, assenza, assedio. E ci casco sempre. Più come un Don Chisciotte che come un Orlando a dire il vero.  Cosa temo di più mi sono chiesta in questi giorni.  Ho finalmente scelto la risposta: temo la rassegnazione alla noia più della paura di non essere amata.

Fra qualche giorno compio gli anni. Ho una strizza della morte che non vi dico. Sto per entrare- mi spiace raccontarlo in maniera così cinica- nell’età dello sfoltimento: verso i cinquanta si muore abbastanza, solo se resisti arrivi alla vecchiaia. Conta molto come hai trattato il tuo corpo, perché il corpo riscuote, ho sentito dire ultimamente. Se così fosse a me arriverà un conto abbastanza salato. Rispetto alla paura della morte la noia diventa il terreno impraticabile. Se dovessi morire non vorrei perdere nemmeno un minuto ad annoiarmi.

Io nun moro, comunque.  Soffro solo un po’. Ma è una roba da scorpioni.

 

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Al netto del mio scontento

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E poi cosa è successo? Dove ci eravamo lasciati?

Dunque, vediamo, facevo la mamma. Che poi queste cose le spiego a quelle più giovani, che magari ancora non l’hanno capito. A un certo punto se diventi mamma, sei mamma. Cioè, non voglio dire, abbiate pazienza,  non è che sei niente altro che madre. Se sei fica resti fica, se sei sfigata pure, se lavori continui a lavorare (se non lavoravi stai inguaiata) solo che ti senti più vincolata alle sicurezze economiche e cerchi di mantenere il lavoro che tieni anche se ti fa cagare e se ti piaceva ti piacerà di meno perché ti mangia il tempo, insomma cose del genere, se ti piace viaggiare viaggi di meno, se ti piace ballare balli di più nella tua stanzetta da letto. Però è stupendo. Puoi diventare bambina con tua figlia, puoi sentirti indispensabile per un essere umano, godi di una fiducia illimitata da parte di qualcuno, e non uno qualunque,  ma uno che ami (cosa che nei rapporti raramente accade). Insomma sei questa cosa qui e le alte cose accadono ma non contano un cazzo. Non contano al punto che non ricordo di essere entrata in depressione per nessuno tranne che per la paura di non farcela da sola. Bello, bellissimo. Ma poi finisce la pacchia. Da un giorno all’altro non conti più nulla. Praticamente diventi un bancomat per tuo figlio. Stai entrando in una nuova fase: la badante dei tuoi genitori, o del genitore. Chi se non noi? La badante è peggio della madre, se un figlio ti delude crescendo, i genitori ti hanno già deluso prima, quindi ritornare al gioco precedente è molto più frustrante di prima. E poi, diciamolo, i vecchi non sono belli quanto i bambini.

Ma chest’è. Cosa sia la vita di una donna nell’arco che va dai trenta/trentacinque in poi è spiegato in queste poche righe. Ritengo giusto raccontarvelo perché raramente ne sento parlare in maniera onesta. Pare quasi brutto dire queste cose di me, di noi, proprio noi, che siamo state ragazze emancipate, che ci proponiamo come donne libere , proprio noi che se ce l’avesse raccontato una veggente avremmo riso per ore.

Quando mi chiedono se ho paura di diventare vecchia rispondo di no. Ho paura della malattia, certamente, ma non ho paura della solitudine e della libertà.

Ecco, lo stato dell’arte, al netto del mio scontento.